Questa è la quarta puntata dell’introduzione al buddhismo: il Buddhismo, cosa si intende per esso, come si è diffuso in diverse tradizioni.
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Il Buddhismo
Come ci ricorda il grande storico delle religioni Mircea Eliade, “Il Buddismo è l’unica religione il cui fondatore dichiara di non essere né il profeta di un dio né il suo emissario e che, inoltre, respinge l’idea di un Dio-Essere Supremo”.
Si può andare oltre, osservando che sia il termine “Buddhismo” che la sua connotazione come “religione” sono convenzioni recenti, introdotte circa tre secoli fa in Europa per indicare genericamente la tradizione religiosa nata intorno alla figura del Buddha.
Il Buddhismo è stato considerato di volta in volta religione, filosofia, stile di vita, ma è difficile ridurlo anche ad una sola di queste definizioni. Non è possibile propriamente definirlo filosofia, in quanto il Buddha non ha mai voluto dare un’impostazione teorica ai suoi insegnamenti, anzi, si rifiutava di discutere sugli aspetti filosofici e metafisici, in quanto, come riporta nel Cūla-Mālunkyā sutta: «Che cosa non ho spiegato? Che il mondo è o non eterno; che il mondo ha o non ha fine; che la vita e il corpo sono o non sono la stessa cosa; che il Tathāgata o esiste o non esiste dopo lo morte o né esiste né non esiste dopo lo morte, questo non ho spiegato» (parafrasi di MN 63)
«E perché, o Mālunkyāputta, non ho spiegato tutto questo? Perché ciò non è salutare, non appartiene ai fondamenti della vita religiosa, non conduce al sereno disincanto (nibbidā), al distacco, alla cessazione, alla pace, alla conoscenza, al risveglio, al nibbāna: per tale motivo non ho spiegato tutto ciò» (MN 63, Cūla-Mālunkyā Sutta – Il piccolo discorso di Mālunkyāputta). Nello stesso sutta il Buddha asserisce invece che ha insegnato una sola cosa, le Quattro Nobili Verità.
Non lo si può nemmeno considerare, almeno all’inizio, propriamente una religione perché non aveva quei caratteri di ritualità e di trascendenza tipici delle altre religioni. In un sutta molto famoso e importante, il Kalama Sutta, (AN 3.65, “Ai Kalama”), il Buddha invita a provare in prima persona gli insegnamenti:
«Non vi fidate di ciò che è stato acquisito per averlo sentito in modo ripetuto; né a causa della tradizione; né a causa della voce; né per il fatto che ciò si trova in una scrittura; né a causa di una supposizione; né a causa di un assioma; né a causa di un ragionamento speciale; né di un partito preso in favore di una nozione alla quale si è potuto riflettere; né a causa dell’apparente abilità di qualcun altro; né a causa della considerazione ‘Il monaco è il nostro maestro’. O Kalama, quando sapete da voi stessi: ‘Queste cose sono buone; queste cose non sono biasimevoli; queste cose sono accettate dai saggi; se le si intraprende e se le si osserva, queste cose conducono al beneficio ed alla felicità’, intraprendetele ed osservatele.»
In effetti, non lo si può nemmeno considerare soltanto uno stile di vita perché ha un orientamento al raggiungimento di uno stato, quello del nirvana, che va ben oltre il seguire regole morali.
Si potrebbe dire che il Buddhismo è la somma di tutte queste cose, riunite intorno all’asse centrale che è l’essere essenzialmente una pratica esperienziale, fenomenologica. Il Buddha ha insegnato non per rivelare com’è il mondo, o darne i dettagli, ma per fornire un sentiero che, se percorso, porta alla propria visione diretta di come sia fatto il mondo, di cosa sia davvero il mondo.
In oriente il termine “religione” non era stato usato per definire il Buddhismo prima dell’incontro con le culture occidentali. Sono così stati usati termini nella lingua Pāli per approssimare il concetto di religione, come il termine sāsana, che è passato dal significare “insegnamento”, “istituto” nel senso di precetti autorevoli a quello di “istituzione”, “religione”. Un percorso simile fatto dal termine “āgama”, che dal senso iniziale di “tradizione”, “scrittura”, nei tempi moderni viene usato per intendere la “religione buddhista”.
Il termine che più efficacemente definisce cosa faceva il Buddha è probabilmente quello di “Buddhadharma”, ovvero il Dharma, gli insegnamenti e la dottrina insegnata dal Buddha.
Gli insegnamenti muovono dall’esperienza diretta che ha portato Siddhārtha Gautama all’illuminazione, la pace e la stabile serenità che si ottiene ponendo fine alle sofferenze, allo stress, ai dolori e alle passioni che ci scuotono.
Questo dà una forte enfasi all’importanza degli insegnamenti in quanto, ripercorrendo il Sentiero scoperto dal Beato, seguendolo con costanza ed energia è possibile per tutti raggiungere trasformare in modo radicale la propria vita, fino a giungere all’illuminazione, il nirvana.
Per comodità, qui useremo il termine “Buddhismo”, ormai entrato in voga, ma intendendolo come “Buddhadharma”.
Diffusione del Buddhismo
Il Dharma fu inizialmente trasmesso in modo orale dall’ordine monastico, il Sangha, composto da monaci e da monache che hanno tramandato non solo i testi degli insegnamenti del Buddha, ma anche le sue pratiche morali e meditative, mantenendone inalterato nei secoli lo stile di vita.
Subito dopo il parinibbana (la morte) del Buddha, nel V secolo a.C., i monaci completamente illuminati si riunirono nel Primo Concilio Buddhista per stabilire quali insegnamenti fossero l’espressione diretta del Buddha e quali no e , di conseguenza, quali conservare e quali scartare.
Nei secoli successivi alla morte del Buddha si svilupparono diverse scuole, divise su aspetti quali il valore dell’illuminazione, il codice monastico – il vinaya, cosa fosse realmente esistente e cosa no, e altro ancora. Non vi fu però discussione sugli insegnamenti fondamentali, le Quattro Nobili Verità e la coproduzione condizionata, che rimasero per tutti il cuore dell’insegnamento del Buddha.
Queste scuole furono rilevanti per la diffusione oltre l’India. Il Buddhismo si diffuse inizialmente negli altri paesi asiatici e verso la Grecia, fino ad arrivare in tutto il mondo. Raggiungendo i vari Paesi, il Buddhismo si è spesso adattato alla cultura locale. Si sono così venute a creare diverse tradizioni, che pur mantenendo sempre intatto il cuore dell’insegnamento, hanno delle differenze nelle pratiche e nei testi seguiti.
Le diverse tradizioni si possono raggruppare in tre veicoli principali, gli yana: la tradizione Theravāda, le numerose tradizioni Mahāyāna e la tradizione tantrica Vajrayāna.
La tradizione Theravāda, letteralmente la “Scuola degli anziani”, si basa sugli insegnamenti registrati nel Canone Pāli, e in particolare sugli insegnamenti delle Quattro Nobili Verità. Fu definita in modo spregiativo “Hinayāna”, “Piccolo Veicolo”, da parte dei praticanti Mahāyāna; oggi questo termine non si usa più. Il Canone Pāli fu trascritto in quella lingua intorno al I secolo aC. Il contenuto di questi sutta, nelle rispettive altre versioni, sono spesso condivisi dalle altre tradizioni, a cui aggiungono elementi presi dalla specifica tradizione.
In questa tradizione, quella Theravāda, l’obiettivo del praticante è di raggiungere lo stato di illuminato, di arahant, sulla base dell’insegnamento di chi si è illuminato da sé, ovvero il Buddha. Una volta raggiunto quello stato, non vi sarà più rinascita. Il focus della pratica è il risultato dell’esperienza e delle intuizioni profonde provenienti dall’investigazione critica. L’ascolto degli insegnamenti dei saggi è considerato estremamente importante.
I paesi di tradizione Theravāda sono lo Sri Lanka, la Thailandia, la Cambogia, la Birmania e il Laos, anche è presente in molte altre nazioni, inclusa l’Italia.
Il Buddhismo Mahāyāna, il “Grande Veicolo”, si basa sugli insegnamenti in lingua sanscrita, i sūtra, alcuni corrispondenti al Canone Pāli, altriposteriori. Tra questi i più importanti sono i Prajñāpāramitā Sūtra, un corpus di trentotto sutra di particolare importanza, come il Sutra del Cuore o il Sutra del Diamante, probabilmente trascritti intorno al I secolo d.C.. In alcune scuole viene data grande importanza anche al Sutra del Loto.
Il Buddhismo Mahāyāna dà grande enfasi alla dottrina della vacuità e della compassione − elementi presenti già nel Buddhismo antico ma non quella principalità − e al ruolo dei bodhisattva, persone che pur avendo raggiunto l’illuminazione continuano a rinascere per consentire a tutti gli esseri di ottenere il nirvana. L’illuminazione non è più sentita come un aspetto “personale”, ma piuttosto un fenomeno collettivo, con l’aspirazione di raggiungere la piena condizione di Buddha e di farla raggiungere a tutti gli esseri. Rispetto alla vacuità, il vuoto diviene universale, dharma śūnyatā, arrivando al punto di proclamare l’irrealtà delle “cose”, dei dharma, e la loro non esistenza in sé.
Esistono alcuni bodhisattva trascendenti e paradigmatici per le loro qualità. I più importanti di essi sono: Maitreya, il prossimo Buddha; Mañjuśrī, il bodhisattva dalle saggezza; Avalokiteśvara, il bodhisattva della compassione, così come la sua espressione, Tara, bodhisattva femminile che riunisce in sé compassione e saggezza, ritenuta la madre di tutti i Buddha.
Tra le più importanti nazioni per il Buddhismo Mahāyāna vi sono la Cina, il Giappone, il Vietnam, la Corea e il Tibet, nelle sue diverse varianti che andiamo brevemente a tratteggiare. Anche questa tradizione è diffusa ormai in tutto il mondo.
Il Buddhismo Chan si è sviluppato in Cina portato dal leggendario monaco indiano Bodhidharma. Parte dell’ambito Mahāyāna, è stato influenzato dal taoismo.
È caratterizzato da un approccio diretto alla pratica, basato sulla meditazione, e molto meno sulla parte intellettuale e discorsiva. Spesso gli insegnamenti sono non verbali e non basati sui testi, enfatizzando la meditazione, l’intuizione, la relazione tra maestro e discepolo, la pratica e la realizzazione all’interno della vita mondana, nel qui e ora.
Esiste un equivalente del Canone Pāli in lingua cinese, l’Āgama Nikāya, la cui correlazione ci permette di osservare che gli insegnamenti del Buddha si sono trasmessi con minime differenze pur dopo tutto quel tempo, quella distanza e le traduzioni in diverse lingue. Questo è un grande merito del Sangha che ha mantenuto in modo così rigoroso la trasmissione orale degli insegnamenti del Buddha.
Arrivando in Giappone, la tradizione Chan ha dato luogo al Buddhismo Zen, che ha introdotto nel Chan alcuni aspetti presi dallo scintoismo. Oltre che in Giappone, dalla Cina il Buddhismo si è diffuso anche in Vietnam e in Corea.
Giunto in Tibet dalla Cina e dalla Mongolia, il Buddhismo divenne presto religione di stato, unendo aspetti della locale religione Bön. Sempre di tradizione Mahāyāna, il Buddhismo tibetano ha sviluppato delle caratteristiche particolari, il Buddhismo Vajrayāna, o Buddhismo del Veicolo del Diamante, detto anche Mantrayāna, Veicolo dei Mantra segreti, basato su pratiche tantriche, volte ad accelerare i tempi necessari per l’illuminazione. C’è anche un Canone in lingua tibetana.
Esistono molte altre tradizioni, ma queste citate sono tra le più rappresentative.
Riferimenti
- MN 63, Cūla-Mālunkyā Sutta – Il piccolo discorso di Mālunkyāputta, traduzione di Francesco Sferra, da “La Rivelazione del Buddha”, a cura di Raniero Gnoli
- AN 3.65, Kalama Sutta,“Ai Kalama”, traduzione di Enzo Alfano su quella in Pāli di Soma Thera.
- John Ross Carter, “A History of Early Buddhism”, Religious Studies, vol. 13, n.3, 1977
- Mircea Eliade, “A History of Religious Ideas”, Vol. 2, The University of Chigago Press, 1982.
- Mircea Eliade, direttore, “Enciclopedia delle Religioni, vol. 10: Buddhismo”, Jaca Book, 2006
Musiche tratte dall’album “Movement”, di Sergey Cheremisinov.
Foto di copertina di Wang Junyi.
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