Questa è la terza puntata dell’introduzione al buddhismo: Insegnamenti fondamentali.
Precedenti puntate:
Introduzione al Buddhismo: Insegnamenti fondamentali
Questa puntata tratterà gli insegnamenti fondamentali del Buddha.
Lui stesso ne fa una sintesi nel verso 183 del Dhammapada:
“Smetti di fare il male
coltiva il bene
purifica il cuore.
E’ questa la Via
dei risvegliati.”
La purificazione del cuore e della mente che conduce alla liberazione da ogni sofferenza è proprio l’obiettivo del Buddhismo, espresso in alcuni aspetti fondamentali. E’ importante sottolineare come il Buddha abbia dato questi insegnamenti non come verità rivelata, ma come strumenti e pratiche da sperimentare per poter raggiungere la liberazione da ogni forma di insoddisfazione e dolore; consigliava infatti ai propri discepoli di non basarsi soltanto sulle sue parole, ma di provare a mettere in pratica i suoi insegnamenti così da verificarne effetti e verità, con un approccio simile a quello della scienza moderna. Ha inoltre fornito moltissime pratiche, con diversi livelli di approfondimento, in modo che i praticanti potessero scegliere tra quelli più adatti al proprio percorso spirituale; non va da ultimo dimenticato che ciò che abbiamo è la trascrizione di insegnamenti orali, dati quindi a delle particolari persone in un particolare momento e contesto.
Le Quattro Nobili Verità
Senz’altro l’insegnamento più importante del Buddha è quello delle Quattro Nobili Verità. Il Beato ha più volte affermato che per tutta la sua vita aveva insegnato soltanto il dolore e la cessazione del dolore. Questa è stata l’essenza del suo insegnamento, il Dharma, ed è stato il primo insegnamento che ha dato dopo l’illuminazione, nel Sermone della Messa in Moto della Ruota del Dharma, il Dhammacakkappavattana Sutta, dove espone proprio le Quattro Nobili Verità.
L’obiettivo esplicito del Dharma è il superamento della sofferenza, termine che traduce in modo grossolano il termine Pāli dukkha, che è più vasto, includendo oltre il dolore anche l’insoddisfazione, l’infelicità e lo stress.
Usando un approccio tipico della medicina indiana, il Buddha inizia con una diagnosi, portando all’attenzione che c’è qualcosa che non va bene – dukkha, poi indica la causa di questa “malattia”, quindi effettua una prognosi affermando che il paziente si può curare, e da ultimo fornisce la cura, i passi da compiere per guarire.
Ma quali sono queste Nobili Verità che il Buddha ci ha insegnato?
La Prima Nobile Verità è quella della presenza di dukkha, dell’insoddisfazione, dello stress, del dolore. Il Buddha ci invita a esplorare come la nascita sia di per sé fonte del dolore, dell’insoddisfazione: “La nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che odiamo è dolore, la separazione da ciò che amiamo è dolore, non ottenere ciò che desideriamo è dolore, in breve i cinque aggregati dell’attaccamento sono dolore“. Riconoscere questo aspetto è vitale per entrare nel Sentiero del Dharma, ne è la spinta ispiratrice.
La Seconda Nobile Verità afferma quale sia la ragione per cui vi è questo dolore: “E’ la sete che porta alla rinascita, vincolata all’avidità e alla brama, e ovunque porta all’attaccamento, vale a dire la sete dei piaceri dei sensi, la sete di esistenza e del divenire, e la sete di non-esistenza“. Il dolore è causato dall’attaccamento, dall’avversione e dall’illusione data dall’ignoranza.
La Terza Nobile Verità è un inno alla gioia, la possibilità di superare questo dolore: “Questa, monaci, è la nobile verità della cessazione del dolore. È la completa cessazione della sete, l’abbandono, la rinuncia, la liberazione, il distacco”. Ma come ottenere questo distacco, questa cessazione?
La Quarta Nobile Verità è proprio la cura che il Beato ci offre per superare il dolore. Poiché ci tengono legati alla sofferenza le tre radici non salutari degli attaccamenti, dell’avversione e dell’illusione, per affrontarle il Buddha propone di sviluppare una pratica basata su un percorso articolato in otto elementi, rappresentati come gli otto raggi della ruota del Dharma, dove ogni raggio sostiene l’altro, il Nobile Ottuplice Sentiero, così composto:
- Retta visione: la comprensione delle Quattro Nobili Verità, il riconoscimento dei tre segni dell’esistenza: il dolore e l’insoddisfazione (dukkha), la non esistenza di un sé permanente (anatta), l’impermanenza (anicca).
- Retta intenzione: è quella di entrare nel Sentiero del Dharma, di voler raggiungere l’illuminazione, evitando attaccamento, odio e intenzioni dannose.
- Retta parola: è un elemento importante dell’etica buddhista, che si esprime nel non mentire, non usare la parola in modo aggressivo, non parlare inutilmente, non fare pettegolezzi.
- Retta azione: insieme alla retta parola, sono gli elementi dei Cinque Precetti, ovvero di astenersi di uccidere, di prendere ciò che non ci viene dato liberamente, di avere una condotta sessuale inappropriata, di assumere sostanze intossicanti che riducono la consapevolezza.
- Retta sussistenza: mantenersi con un lavoro che non aumenti il dolore in noi e negli altri, ad esempio evitando la produzione e la vendita di armi, veleni, intossicanti come l’alcol o animali per la macellazione.
- Retto sforzo: indica che la pratica non deve essere condotta allo stremo, diventando rigida e non efficace, e nemmeno lasca, ma trovando il punto di mezzo adatto per noi, (1) abbandonando gli stati mentali non salutari che sono già sorti, (2) evitando gli stati mentali non salutari che ancora non sono sorti, (3) facendo sorgere stati mentali salutari che ancora non sono sorti e (4) sostenendo quelli che sono già sorti.
- Retta presenza mentale: è la consapevolezza (sati) del corpo, delle sensazioni, dei pensieri e dei fenomeni che compongono il mondo; la consapevolezza è una componente alla base di tutta la pratica.
- Retta concentrazione: è l’unificazione del corpo e della mente (samādhi) che si ottiene con la calma concentrata. E’ tramite il samādhi che permettiamo alla nostra mente di essere flessibile e di poter avere le intuizioni profonde tipiche della meditazione vipassana.
Questo Sentiero è organizzato lungo tre grandi assi: la pratica morale (in Pāli: silā), la meditazione (samādhi) e la saggezza (pañña).
La Retta Visione e la Retta Intenzione sono i raggi della saggezza: con la prima riconosciamo le Quattro Nobili Verità, con la seconda poniamo l’intenzione di percorrere il Sentiero liberandoci dagli attaccamenti e sviluppando azioni di supporto a noi e agli altri.
Retta Parola, Retta Azione e Retta Sussistenza si basano sui Cinque Precetti morali, basati sulla moderazione morale in cui ci si astiene, come abbiamo visto, dal mentire, rubare, commettere atti violenti o guadagnarsi da vivere in modo dannoso per gli altri. Grazie a queste norme morali, si protegeranno gli altri e sé stessi, permettendoci di vivere sempre più con semplicità e assenza di preoccupazioni.
Completano il Sentiero gli aspetti di meditazione: il Retto Sforzo per coltivare gli aspetti salutari e abbandonare quelli non salutari, trovando la giusta quantità di energia utile alla propria pratica; la Retta Presenza Mentale, la consapevolezza, che ci permette di osservare le cose così come sono; la Retta Concentrazione, che ci permette di arrivare all’unificazione di corpo, mente e cuore.
Tre Segni dell’esistenza
Queste percorso ci permette di rendere coscienti quelli che vengono chiamati i “tre segni dell’esistenza”, aspetti che si presentano in qualunque cosa sia nata: il segno dell’insoddisfazione (dukkha), il segno del cambiamento (in Pāli: anicca), la non esistenza di un sé permanente (anatta).
Il cambiamento, anicca, punta al fatto che ogni cosa che è nata in questo mondo cambia continuamente, non è stabile né sicura. Sebbene ogni cosa che percepiamo sia soggetta a continuo cambiamento, talvolta questo avviene così lentamente che sembra non avvenire. Costruiamo così un’immagine stereotipata di quell’oggetto, di quella persona, che ci impedisce di vederlo così com’è. Diventare coscienti che tutto ciò che nasce è soggetto a cambiamento, che nulla è sicuro, ci permette di aumentare la consapevolezza nel momento in cui lo percepiamo e di lasciar andare gli attaccamenti su di esso.
Il non sé, anatta, va a mettere in crisi la convinzione radicata del nostro ego. Poiché ogni cosa è impermanente, non vi sarà nemmeno qualcosa di immutabile nella nostra stessa esistenza, non vi sarà un’anima o un sé stabile che ci definisca come persone. Il Buddha insegna proprio il contrario: sebbene ci percepiamo in modo stabile, isolato, siamo in realtà il frutto di condizioni che sono maturate con l’incontro con infiniti altri elementi e siamo noi stessi parte di infiniti altri, in una rete di inter-relazioni potenzialmente illimitata.
Il Buddha ci invita a scomporre ciò che siamo e vedere che nessuno di questi componenti è davvero essenziale a quell’immagine stabile che abbiamo di noi: sembriamo sempre gli stessi, ma se osserviamo con attenzione potremo vedere che il corpo cambia, le sensazioni e le percezioni che abbiamo del mondo cambiano in continuazione, così come i pensieri e le memorie e la coscienza di ciò che percepiamo. Se nessuno di questi elementi è stabile, come potremmo esserlo noi? Se non c’è stabilità, che senso ha pensare che ci sia un sé immutabile?
Abbiamo già toccato il terzo segno, dukkha, ma è importante sottolineare che questa sofferenza non è assoluta. Viene percepita come sofferenza soltanto perché non riusciamo nell’intimo a comprendere come tutto cambi e non vi sia un ego a cui attaccarci. Sono invece la volontà di credere nella stabilità, in un sé stabile, che sono la causa di questa sofferenza. Ma gli insegnamenti del Buddha sono pieni di gioia e felicità! Sperimentandole in modo progressivo, riconoscendo che anch’esse sono soggette alla legge del cambiamento e dell’impermanenza, si può arrivare a toccare la pace e la stabilità suprema del nirvana. Forse il segno più importante di questa serena felicità lo si trova nei volti e nelle vite dei grandi illuminati che, invariabilmente, sono persone piene di vita, gioia e autentica apertura del cuore.
Altri insegnamenti
Il Buddha, nei molti anni dopo la sua illuminazione, oltre le Quattro Nobili Verità ha dato numerosi altri insegnamenti, tutti sono coerenti con esse.
Tra gli insegnamenti più importanti ricordiamo i dodici anelli della catena dell’originazione dipendente, in lingua Pāli paṭicca samuppāda, una serie causale che parte dall’ignoranza per arrivare al corpo, alla mente, alle sensazioni, gli attaccamenti, la voglia di cambiare e rinascere fino ad arrivare ad una nuova vita e una nuova morte. Il Buddha ha insegnato che chi vede il Dharma vede questa catena, e chi vede questa catena vede il Dharma.
Molto importante è anche l’insegnamento dei Quattro Incommensurabili Stati Mentali (brahmavihārā): la gentilezza amorevole (mettā), la compassione (karuṇā), la gioia compartecipe (muditā) e l’equanimità (upekkhā). Sono stati mentali salutari da praticare per aprire il cuore e ridurre l’ego. Facilitano il raggiungimento dell’illuminazione e al tempo stesso ne sono anche il frutto.
Tutti questi insegnamenti, e molti altri ancora, sono stati insegnati dal Buddha non per essere soltanto imparati intellettualmente, ma per essere praticati in modo da toccare direttamente la saggezza, trasformando il cuore e la mente, lasciando andare l’attaccamento all’ego per guadagnare l’infinito della piena coscienza.
La prossima puntata sarà dedicata alle diverse forme del Buddhismo.
Riferimenti
La musica che fa da sfondo a “Introduzione al Buddhismo – Vita del Buddha” è dell’album “Fragments of lights” di Siddharta Corsus e da “Bach: Cello Suite No. 5 in C minor, BWV 1011“, di Colin Carr.
Si può leggere qui il sutta SN 56.11: Dhamma Cakkappavattana Sutta – La Ruota della Legge.
Foto di copertina di Wang Junyi.
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