Questa è l’ottava puntata dell’introduzione al Buddhismo: la saggezza.
Precedenti puntate:
- Descrizione della serie
- Vita del Buddha
- Insegnamenti fondamentali
- Il Buddhismo, cosa si intende per esso, come si diffuso in diverse tradizioni
- Sofferenza e felicità
- La meditazione
- L’etica e i cinque precetti
Introduzione al Buddhismo: la saggezza
La saggezza
La saggezza, paññā in lingua Pāli e prajñā in Sanscrito, è il terzo asse del Nobile Ottuplice Sentiero, unita a etica e meditazione.
Ma cosa si intende per saggezza? Nell’insegnamento del Buddha, la saggezza è la visione profonda, la conoscenza intuitiva e diretta del mondo così com’è; la conoscenza della natura, del Dharma. Come tale, è un elemento che caratterizza il Buddhismo rispetto alle altre religioni o filosofie.
La saggezza è il punto più alto dell’insegnamento, basato sule pratiche meditative a loro volta favorite dall’esercizio dell’etica. Tramite la conoscenza si ottiene la visione diretta sia del mondo samsārico, come lo percepiamo abitualmente, permeato da dukkha, dalla sofferenza e al tempo stesso si va oltre il samsāra, riconoscendo le fonti della sofferenza e i mezzi per andare oltre, fino a raggiungere la completa estinzione del nirvana.
Con questo non dobbiamo pensare che la saggezza sia un elemento che appartiene soltanto agli stati avanzati della pratica, ma piuttosto riconoscere che la permea sin dall’inizio: si praticano l’etica e la meditazione, purificando i comportamenti e la mente, perché si ha già almeno una comprensione intellettuale della saggezza, che diventerà sempre di più una conoscenza interiore che proviene dell’esperienza diretta. Questo si rispecchia nelle tre fasi esperienziali di interiorizzazione dell’insegnamento, che iniziano con il pariyatti, l’aver appreso il Dharma tramite l’ascolto o la lettura di un discorso, continuando con il paṭipatti, la messa in pratica degli insegnamenti tramite la meditazione e l’etica, fino al punto da far sorgere la pativedha, l’intuizione profonda e diretta che porta alla conoscenza di quell’iniziale insegnamento. Così pariyatti, paṭipatti e pativedha illustrano il sentiero che passa dalla conoscenza razionale e cognitiva alla conoscenza intuitiva. La saggezza non arriva infatti dal pensiero discorsivo, ma è una visione intuitiva della realtà, di fatto impossibile da esprimere a parole se non per tramite di metafore o poesia.

La saggezza nell’Ottuplice Sentiero
Nel Nobile Ottuplice Sentiero vi sono due passi relativi alla saggezza, la Retta Visione, sammā diṭṭhi, e la Retta Intenzione, sammā saṅkappa.
La Retta Visione è la base dell’intera pratica ed è, in sostanza, la corretta visione del Dharma.
Questa visione si ha a un livello mondano con la conoscenza della legge del karma, gli effetti morali delle azioni frutto di una volontà eticamente determinata. L’agire con volontà attraverso corpo, parola o mente è il karma, che è essenzialmente il fattore mentale all’origine dell’agire; gli effetti del karma daranno luogo alla nostra identità e al senso erroneo del sé.
Bhikkhu Bodhi chiarisce che “la Retta Visione richiede più di una semplice conoscenza del significato generale del karma. È anche necessario capire: (1) la distinzione etica del karma in salutare e non salutare; (2) i principali casi di ogni tipo, e (3) le radici da cui queste azioni scaturiscono”. Più avanti approfondiremo meglio la conoscenza del karma.
Il livello ultramondano della Retta Visione è la conoscenza diretta degli aspetti che conducono alla liberazione: in particolare le Quattro Nobili Verità, i Tre Segni dell’esistenza (sofferenza, impermanenza e non-sé: dukkha, anicca e anattā), la coproduzione condizionata (paṭiccasamuppāda). Non si raggiunge questo livello con la semplice comprensione intellettuale: si ottiene la piena Retta Visione nel momento in cui avremo interiorizzato ogni aspetto. Nel Sammādiṭṭhisutta, il Venerabile Sariputta espone in dettaglio tutti gli aspetti che sono stati compresi da chi è arrivato al Dharma tramite la Retta Visione, guadagnandone la fiducia incrollabile nel Dharma. Di ogni aspetto si illustra come bisogna comprenderlo, conoscerne le origini, la sua cessazione, la via che conduce alla sua cessazione: è lo schema che abbiamo già incontrato nelle Quattro Nobili Verità a riguardo della sofferenza ma che qui viene esteso a tutti gli aspetti mentali e materiali.
Il completo disvelarsi della Retta Visione si avrà quando avremo percorso la via che conduce alla cessazione di ogni aspetto della nostra vita governata dall’ignoranza, verso la piena luce del Dharma.
La Retta Intenzione è quella di mettere in atto la Retta Visione, anche in questo caso divisa in due, una parte mondana e una sovramondana.
Quella mondana persegue tre intenzioni principali: quelle della rinuncia, della benevolenza, del non nuocere. Queste sono l’opposto delle intenzioni di essere governati dal desiderio, dalla cattiva volontà, dal nuocere. Applicare la mente verso le intenzioni salutari allontanandosi da quelle non salutari è proprio la Retta Intenzione, che ci permette di orientare la mente sempre più in sintonia con il Dharma.
La parte sovramondana della retta intenzione va nella direzione del Nobile Ottuplice Sentiero come insegna il Buddha:
«E che cosa, monaci, è la retta intenzione che è influenzata da contaminazioni, ha gli attributi delle buone azioni, matura nell’attaccamento? L’intenzione della rinuncia, l’intenzione della non cattiva volontà, e l’intenzione della non violenza: questa è l’intenzione giusta che è influenzata da contaminazioni… maturata nelle acquisizioni.
E che cosa, monaci, è la Retta Intenzione che è nobile, immacolata, sovrabbondata, un fattore del Sentiero? Il pensare, il pensiero, l’intenzione, l’assorbimento mentale, la fissità mentale, dirigere la mente, la formazione verbale in una persona la cui mente è nobile, la cui mente è senza macchia, che possiede il Nobile Sentiero e sta sviluppando il Nobile Sentiero: questa è l’intenzione giusta che è nobile… un fattore del Sentiero.
Ci si sforza di abbandonare l’intenzione sbagliata ed entrare nella retta intenzione: questo è il retto sforzo. Consapevolmente si abbandona l’intenzione sbagliata, si entra coscientemente e si rimane nella retta intenzione: questa è la retta consapevolezza. Così questi tre stati corrono e girano intorno alla retta intenzione, cioè la retta visione, il retto sforzo e la retta consapevolezza.»
Sammādiṭṭhisutta, MN 117
La visione profonda
Già da queste parole del Buddha capiamo che la saggezza ha come componente fondamentale la retta consapevolezza, che rimanda naturalmente alla pratica della meditazione di visione profonda, il vipassanā. Questa meditazione è sia il mezzo per arrivare alla saggezza sia il fine stesso, in quanto osservare le cose come sono è in sé una forma di meditazione. Il Buddha insegna che la verità ultima delle cose, il Dharma che è l’oggetto della saggezza, è visibile direttamente, è senza tempo e può essere sperimentato direttamente. Sempre disponibile, lo possiamo trovare dentro di noi, frutto della nostra esperienza, una volta che ne abbiamo intimamente compresi tutti gli aspetti nella mente e nel corpo.
È per questo che la retta consapevolezza va oltre la mera consapevolezza: non soltanto siamo attenti a quello che succede, ma ne penetriamo l’intima realtà, tramite l’intuizione diretta e non tramite un approccio concettuale. Questa intuizione viene chiamata “chiara comprensione”, in Pāli sampajañña e spesso sati-sampajañña, la chiara comprensione dovuta alla consapevolezza. Una comprensione che abbraccia tutte le cose, come ci insegna Ajahn Sumedho:
«Sampajañña è una parola che viene tradotta come ‘chiara comprensione’, che è un termine così vago e anche se dice ‘chiara’ non mi dà un senso dell’ampiezza di quella chiarezza. Quando si hanno definizioni chiare di tutto, allora si pensa di avere una chiara comprensione. Ecco perché non ci piace la confusione, non è vero? Non ci piace sentirci nebbiosi, confusi o incerti. Questo tipo di stati davvero non ci piacciono, ma spendiamo un sacco di tempo cercando di avere chiara comprensione e certezza. Ma sati-sampajanna include la nebbia, include la confusione, include l’incertezza e l’insicurezza. È una chiara comprensione o appercezione di confusione – riconoscere che è così. L’incertezza e l’insicurezza sono così. Quindi è una chiara comprensione o apprensione anche delle condizioni mentali più vaghe, amorfe o nebulose.»
Ajahn Sumedho, “Intuitive Awareness”
La chiara comprensione è talmente chiara che ci porta a vedere il vuoto, suññatā, ovvero la natura completamente vuota da attaccamenti. Nel momento in cui si sviluppa la saggezza si toccano direttamente anche il continuo nascere, mutare e svanire di tutte le cose che sono nate, anicca, la natura profonda della sofferenza, dukkha, e, alla fine, anche il vuoto, una grande realizzazione, come ci insegna Ajahn Buddhadasa:
«La prossima pratica è paññā (saggezza intuitiva). Qui possiamo vedere più chiaramente che conoscere la suññatā, realizzare la vacuità o essere la vacuità stessa, è l’essenza della saggezza. Nel momento in cui la mente è vuota, è sommamente acuta e perspicace. Quando una mente è priva di stoltezza, priva di “io” e “mio”, c’è perfetta conoscenza, o paññā. Così i saggi dicono che suññatā e paññā (consapevolezza e saggezza) sono uno. Una volta che la mente si libera dall’illusione, scopre il suo stato primordiale, la vera mente originale.»
Bhuddadasa Bhikkhu, “A Single Handful”
Sperimentare pienamente il vuoto è raggiungere il nirvana, chiamato anche “la suprema vacuità” (parama-suññatā). È un vuoto che si riempie immediatamente degli stati mentali salutari di gentilezza amorevole, compassione, gioia compartecipe e serena equanimità: raggiungere la vacuità è a beneficio immediato non solo nostro ma di tutti gli esseri!
E così si chiude il cerchio: condurre una vita etica e di meditazione porta ad approfondire la saggezza, con cui sperimenteremo la validità del Sentiero, cosa che ci invoglierà a praticare di più, così da sviluppare la chiara visione, toccando lo stato di vuoto. Così ci apriremo a tutti gli esseri sperimentando la dolcezza e i frutti della pratica!

Riferimenti
Bhikkhu Sumedho, “Intuitive awareness”, https://trustinginbuddha.co.uk/intuitive-awareness-ajahn-sumedho/
Bhikkhu Bodhi, “The Noble Eightfold Path. The Way to the End of Suffering”, https://www.accesstoinsight.org/lib/authors/bodhi/waytoend.html
Buddhadasa Bhikkhu, “A Single Handful”, https://tricycle.org/magazine/single-handful/
Mahācattārīsakasutta, “Grande quarantina”, in italiano https://www.canonepali.net/mn-117-maha-cattarisaka-sutta-grande-quarantina/, in inglese nella traduzione di Bhikkhu Bodhi https://suttacentral.net/mn117/en/bodhi, in inglese e Pāli nella traduzione di Bhikkhu Sujato https://suttacentral.net/mn117/en/sujato
Sammādiṭṭhisutta, in italiano https://www.canonepali.net/mn-9-sammaditthi-sutta-la-retta-conoscenza/, traduzione in inglese con testo in Pāli di Bhikkhu Sujato, https://suttacentral.net/mn9/en/sujato; nella traduzione di Bhikkhu Bodhi https://suttacentral.net/mn9/en/bodhi
Tadeusz Skorupski, “Prajñā”, in “Enciclopedia delle Religioni. Vol. 10. Buddhismo”, Jaca Book.
Immagine del Buddha che offre protezione dal Metropolitan Museum of Arts. Questa immagine di Buddha incarna le qualità della calma e della quiete radiante interiore, i prodotti della saggezza suprema. Dispensa rassicurazione e protezione ai suoi seguaci con una mano alzata tenuta in Abhaya-Mudra, il gesto di non temere. Il Buddha è avvolto nella semplice stoffa non tagliata di un monaco, graziosamente disegnata intorno al corpo in modo da definire la forma, per creare un’immagine che è allo stesso tempo eterea e sensuale. Uno stato di buddhità è definito iconograficamente dalla presenza di una serie di segni di buon auspicio (lakshanas): qui si vedono i lobi attenuati, il cranio sporgente e la cinghia tra le dita. Prese insieme queste caratteristiche, sia naturali che soprannaturali, denotano una santità preordinata e uno stato di buddhità. Poche immagini di Buddha in metallo sopravvissero al collasso del Buddhismo monastico alla fine del XII secolo, e la maggior parte di quelle conservate lo fecero in Tibet, dove erano state portate via per sicurezza nel periodo medievale.
Foto di copertina di Wang Junyi
La musica che fa da sfondo a “Introduzione al Buddhismo: la saggezza” è dell’album “Fragments of lights” di Siddharta Corsus.
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