Questa è la seconda puntata dell’introduzione al buddhismo. 

La prima puntata è la “descrizione della serie“.

Introduzione al Buddhismo – Vita del Buddha

Vita del Buddha

Iniziamo esplorando chi sia stato il Buddha, questa grande persona che 2.600 anni fa in India ha raggiunto l’illuminazione e ne ha insegnato la strada per tutta la sua vita, e i cui insegnamenti sono ancora vivi e diffusi in tutto il mondo.

I molti nomi del Buddha

Il Buddha storico aveva il nome sanscrito Siddhārtha Gautama (in lingua Pāli, Siddhatta Gotama), della famiglia dei Śākya, da cui il nome Śākyamuni Buddha, che vuol dire “saggio dei Śākya”; nel Buddhismo antico, in lingua Pāli, lo si definisce più abitualmente Gotama Buddha. 

Ci sono molti altri modi di definirlo. Il termine Buddha vuol dire “Colui che è risvegliato”, e gli fu dato dai suoi discepoli. Il Buddha, riferendosi a sé stesso, usava invece il termine Tathāgata, che può voler dire sia “Colui che è Andato” che “Colui che è Venuto”. Viene spesso anche chiamato Bhagavān, ovvero “Signore”, “Venerabile”, “Beato” o anche Sugava, “Il Bene Andato”.

La vita del futuro Buddha

Nacque a Lumbini, in Nepal, a pochi chilometri dal confine dell’India, in una data stimata essere l’8 aprile del 566 a.C., e morì nel 488 a.C. a Kushingar, in India. 

Di casta elevata guerriera e di re, era figlio del re Śuddhodana e della regina Māyādevi, chiamata anche Mahāmāyā. Prima della nascita, il Buddha fu annunciato da un sogno della regina Mahāmāyā in cui un grande elefante bianco con sei zanne entrava in lei dal fianco destro. 

Mentre ritornava dai suo genitori, come era uso, la regina diede luce al Buddha fermandosi presso il giardino di Lumbini. Là il futuro Buddha nacque senza che lei avesse alcun dolore. Si narra che appena nato il futuro Buddha fece sette passi e disse “Per conseguire l’Illuminazione io sono nato, per il bene degli esseri senzienti; questa è la mia ultima esistenza nel mondo”. Dopo sette giorni però la madre morì, così venne allevato dalla seconda moglie del re Śuddhodana, Pajāpatī, sorella minore della defunta regina Mahāmāyā. In qualità di figlio di un re, di un rāja, gli fu dato il nome Siddharta, “colui che ha raggiunto lo scopo”, oltre quello di Gotama, “membro del ramo Gotra degli Śākya”.

Quando qualche giorno dopo fu presentato a corte, Asita, un vecchio saggio predisse che il bambino sarebbe potuto essere o un Monarca universale o un asceta itinerante che avrebbe conseguito il risveglio. Il padre fu turbato dal vaticinio e provò a tenere il giovane Gotama sempre nel palazzo, tra lussi e piaceri, per far sì che diventasse un re e non un asceta che avrebbe lasciato la casa. 

Le quattro visioni

Gotama era circondato da agi, con a sua disposizione tre palazzi, uno per l’estate, uno per l’inverno ed uno per la stagione delle piogge, donne che cantavano e ballavano per lui, stagni pieni di fiori di loto, tutto pur di tenerlo all’interno del palazzo. 

Fu così che il giovane Gotama già a sedici anni divenne sposo della cugina Bhaddakaccānā, più nota come Yashodharā. A ventinove anni diedero luce a un figlio, Rāhula.

Ma aveva sempre più voglia di conoscere il mondo al di fuori, così a ventinove anni uscì alcune volte dal palazzo accompagnato dal suo cocchiere. Sebbene il re avesse provveduto a far rimuovere dal percorso qualunque cosa potesse turbarlo, vide una volta un vecchio, un’altra volta un malato e poi una pira funeraria per un morto. Si rese così conto che anche a lui sarebbe toccato di essere vecchio, malato per poi morire. 

Nell’ultima uscita, incontrò un asceta, e quando chiese al cocchiere chi fosse, lui gli rispose così: “Principe, lo si chiama asceta perché ha intrapreso l’ascetismo e rettamente segue il Dharma, perché vive in pace, si dedica alle buone azioni, rende meritoria la propria condotta, mostra benevolenza e compassione per tutti gli esseri viventi”. Decise così di diventare anche lui un asceta, un monaco itinerante, lasciando la moglie e il figlio, il padre e la madre adottiva e la vita lussuosa di palazzo; si tagliò i capelli, indossò la veste arancione e andò a cercare dei maestri. 

La vita ascetica

La sua vita ascetica ebbe inizio con l’incontro del suo primo maestro, Ārāda Kālāma, da cui imparò i canti vedici e la meditazione che conduce alla “sfera del nulla”. Divenne in breve tempo esperto e fu invitato dal maestro a insegnare insieme a lui, ma Gotama sentiva di non essere ancora arrivato all’illuminazione e andò alla ricerca di un altro maestro.

Incontrò così Udraka Rāmapūtra, da cui imparò a perfezione la meditazione che portava allo stato di “né percezione né non-percezione”, uno stato più sottile della “sfera del nulla”, al punto che lo stesso Udraka Rāmapūtra lo invitò a fargli da maestro; di nuovo Gotama preferì continuare la sua ricerca. 

Questa volta si unì ad altri cinque asceti, con cui praticò le più severe pratiche, esponendosi a tutte le forme di mortificazione del corpo, esponendosi al caldo e al freddo estremo, riducendo il cibo al minimo. Sebbene avesse ottenuto dei traguardi meditativi, il corpo lo tormentava con i dolori ed era ormai pressoché arrivato al punto di morte. 

Comprese così che quella della mortificazione del corpo non era la strada appropriata ed accettò l’offerta del riso bollito datogli da una ragazza, Sujatā, che lo fece tornare alla vita; si lavò nel fiume e tornò dai suoi amici asceti per raccontargli la conclusione cui era giunto, ma l’aver rotto il digiuno provocò in loro solo disprezzo e lo abbandonarono. 

Ricordò allora un episodio dell’infanzia, quando bambino  accompagnò  il padre in campagna in occasione   della festa dedicata alla Madre Terra: dopo aver visto gli insetti e  i vermi scoperti dall’aratro e mangiati dagli uccelli, dopo aver visto le fatiche degli uomini, aveva provato compassione e si era  seduto sotto un albero, entrando senza alcun sforzo in una pace profonda, in una sensazione di unità. 

Tornando al momento presente, decise così di sedersi sotto un albero, un bellissimo Ficus Religiosa, su uno strato di erba kusa donatagli da un contadino, facendo voto di rimanere seduto in meditazione finché non fosse arrivato all’illuminazione. Rimase così per sette settimane finché, nella notte di luna piena del mese di maggio, non raggiunse la pace suprema, il nirvana.

Durante la meditazione Gotama, ormai diventato il Buddha, scoprì gli elementi essenziali del suo insegnamento, le Quattro Nobili Verità, ovvero l’esistenza della sofferenza, l’origine della sofferenza che è l’attaccamento, la possibilità di andare oltre la sofferenza abbandonando quell’attaccamento, e il Sentiero per ottenere la saggezza e abbandonare così gli attaccamenti e la sofferenza. L’albero sotto il quale si era seduto venne chiamato così “l’albero della Bodhi”, l’albero dell’illuminazione, e il luogo, Bodh Gaya, è ancora oggi una importante meta di pellegrinaggio. 

I primi insegnamenti

Dopo aver raggiunto l’illuminazione, il Buddha era indeciso se insegnare quanto aveva scoperto. Pensava che la sua dottrina fosse troppo difficile da poter essere compresa: come spiegare ciò che non può essere detto? Come insegnare uno stile di vita che porta alla completa estinzione del dolore? 

Decise così di vivere in una foresta. Si racconta così che il dio Brahama Sahampāti gli chiese di insegnare il suo sentiero, il Dharma, perché esistevano persone “con poca polvere sugli occhi” e che avrebbero potuto comprenderlo. Il Buddha si convinse della possibilità di insegnare e dichiarò che “Le porte del nirvana, dell’andare oltre la sofferenza, sono aperte a tutti coloro che vogliono intendere!”. 

Fu così che si diresse a Varanasi, oggi Benares. A Sārnāth, nel Parco delle Gazzelle, incontro di nuovo i suoi cinque compagni di ascetismo che, vedendolo risplendere e pieno di una pace incrollabile, lo accolsero di nuovo tra loro e accettarono di ascoltarne un insegnamento. Fu il primo insegnamento del Buddha, il Dhammacakkappavattana Sutta, il discorso della “messa in moto della ruota del Dharma”, in cui espose le Quattro Nobili Verità da lui scoperte durante la meditazione sotto l’albero della Bodhi. Durante l’esposizione dell’insegnamento, il sutta, uno dei cinque asceti sorrise e il Buddha capì che questi aveva afferrato quel che gli stava insegnando e aveva ottenuto il primo livello di illuminazione. Fu così che quell’asceta venne chiamato Añña Kondañña, che vuol dire “Kondañña ha compreso”. 

Quando cinque giorni dopo il Buddha diede il secondo insegnamento, l’Anattalakkhana Sutta, Kondañña raggiunse lo stato di illuminazione completa, diventando il primo Arahant, il primo illuminato ed anche il primo monaco, ordinato con la semplice espressione “Ehi Bhikkhu!”, che in lingua Pāli vuol dire semplicemente “Vieni monaco!”, dando luogo al Sangha, la comunità dei praticanti il Buddhadharma, l’insegnamento del Buddha. La comunità dei monaci fu quindi estesa anche alle monache, permettendo in tutti i casi di poterne far parte a chiunque, senza alcuna preclusione di casta, origine, storia o cultura. 

La vita itinerante del Buddha

Il Buddha cominciò a insegnare il Dharma scegliendo di dare insegnamenti a chiunque fosse interessato ad ascoltarli: monaci, monache, laici e laiche. Questa modalità di insegnamento in India fu molto innovativa, in quanto fino ad allora era abitudine insegnare soltanto a un gruppo ristretto di discepoli ben selezionati, spesso parenti del maestro. Il Buddha scelse coraggiosamente di accogliere discepoli di ogni casta e di formare l’ordine monastico femminile, dando pari dignità a uomini e donne di ogni tipo.

Il Buddha e i suoi sempre più numerosi discepoli si muovevano continuamente da un luogo all’altro, potendo in seguito trovare riparo durante la stagione delle piogge in monasteri offerti dai laici, primo tra tutti Anāthapindika, un ricco e devoto commerciante. 

Molti dei suoi seguaci divennero pienamente illuminati, tra cui Sāriputta e Moggallāna, i suoi principali discepoli. 

La morte: il parinibbāna

La vita del Buddha continuò così, tra spostamenti e insegnamenti per ben quarantacinque anni, dopo aver raggiunto l’illuminazione a trentacinque anni. 

Ormai anziano, durante i suoi viaggi, mangiò del cibo avariato e così si sentì male; i suoi monaci, alla notizia, si raccolsero attorno a lui;  ebbe il tempo di dare un ultimo insegnamento prima di arrivare alla completa cessazione anche del corpo, il parinibbāna. Le sue ultime parole furono ancora un insegnamento: “Tutti i fenomeni condizionati sono impermanenti, destinati a sorgere ed estinguersi; essendo sorti, essi periscono. Raggiungete la perfezione grazie alla pratica diligente!”. 

Si concluse così, a ottanta anni, la lunga vita di ascesi e insegnamento del Beato, il pienamente illuminato, il Buddha. Ma i suoi insegnamenti, dopo 2.600 anni, sono ancora del tutto vivi. 

Riferimenti

Alcune informazioni sono state desunte dalla pagina italiana ed inglese di Wikipedia su Gautama Buddha. Altre informazioni sono state desunte dall’ottimo “Dizionario del buddhismo”, di Philippe Cornu, Bruno Mondadori, 2007. 

Si cita anche il sutta DN 14, “Maha-padana sutta” – “I Buddha del passato“. 

La musica che fa da sfondo a “Introduzione al Buddhismo – Vita del Buddha” è dell’album “Fragments of lights” di Siddharta Corsus.