Praticare sulle intenzioni – meditazione guidata
Praticare sulle intenzioni – riflessioni di Dharma

Quando si pratica l’equanimità, si tende a vederla come una specie di punto di mezzo in cui si accettano integralmente tutte le cose positive che ci accadono nella vita e altrettanto quelle negative. Sembra quasi una visione passiva per cui qualsiasi cosa succeda va sempre bene: siamo stabili e se ci arriva una carezza o un pugno va sempre tutto bene.

Ma è davvero questa l’equanimità che vogliamo? Come possiamo conciliare questa equanimità con la vita del Buddha, che dopo essersi illuminato ha percorso per altri quarantacinque l’India senza smettere mai di insegnare, nemmeno sul letto di morte? Come conciliare questa passività con le azioni di grandi persone come il Dalai Lama o Ajahn Sumedho? Sembra piuttosto evidente che c’è dell’altro.

Nel nostro percorso di pratica spirituale aumentiamo costantemente il livello della nostra consapevolezza, riusciamo giorno dopo giorno a renderci conto meglio di quello che succede nel nostro corpo e nella nostra mente. Questo ci permette di osservare meglio quella grande massa di pensieri, emozioni e desideri che passano incessantemente nella nostra mente, quella proliferazione mentale che in lingua pāli viene chiamata “panañca“.

Possiamo usare questa maggiore chiarezza per osservare in profondità, tramite la meditazione di vipassana, quelle che sono le nostre intenzioni, le cose che vogliamo raggiungere, ottenere. Questa osservazione è una parte importante della pratica, al punto che il sammāsaṅkappa, la retta intenzione, è il secondo fattore del Nobile Ottuplice Sentiero. Tutti noi abbiamo intenzioni, aspirazioni e desideri, ma spesso questi albergano in noi senza che gli si dia molto rilievo e, come sappiamo, ciò che non è osservato sotto la luce della consapevolezza, di sati, non sempre risulta essere salutare.

Vale la pena allora di osservare se le nostre intenzioni, aspirazioni e desideri sono salutari, portano un beneficio a noi e alle altre persone, agli altri esseri. Ma possiamo anche osservare due cose assolutamente critiche: le cose non avvengono senza uno sforzo e non siamo gli unici attori che influiscono sui nostri desideri.

Per sviluppare le nostre intenzioni dobbiamo agire, e talvolta invece non agire, mettere i semi, creare le condizioni affinché quel che desideriamo si trasformi in realtà. Questo è vero anche se vogliamo piantare un albero sperando che cresca grande e rigoglioso: se non lo piantiamo bene, non lo proteggiamo dagli animali, non lo innaffiamo, potiamo e seguiamo negli anni, è molto facile che la piccola piantina che avremo piantato verrà mangiata, divelta o si seccherà. Non basta l’intenzione, serve anche lo sforzo e l’azione: rispettivamente sammā-vāyāma e sammā-kammanta, retto sforzo e retta azione, altri due fattori del Nobile Ottuplice Sentiero.

Si va ben oltre la passività che avevamo paventato all’inizio: si percorre la strada della responsabilità! Vediamo così che l’equanimità è responsabilità: vedere le cose come stanno e prenderci cura di esse, di noi e degli altri con azioni responsabili.

Ma se esageriamo, rischiamo di percorrere una strada in cui sembra che siamo gli unici attori del mondo, gli unici che lo modificano e che tutto dipende da noi. Ma se torniamo all’esempio dell’albero vediamo come non possiamo prevedere tutto: l’arrivo di un tornado così forte da abbattere intere foreste, un camion che esce di strada e colpisce l’albero, una estate di totale siccità… sono tantissime le cose che non dipendono da noi e che possono vanificare i nostri sforzi. Così come sono tantissime le cose che invece possono aiutarci: l’amicizia con un esperto di alberi che ci saprà dare buoni consigli, il permanere di un clima adatto al nostro albero, un aiutante che ci aiuterà a potarlo anno dopo anno…

Allora vediamo che equanimità è prenderci le responsabilità ma sapendo che non tutto dipende da noi, e quindi possiamo responsabilmente agire in risposta a quello che succede, ma non ci possiamo identificare con il risultato – non c’è un ego che condiziona il mondo, il mondo non gira intorno al nostro io.

Il Buddha mirabilmente ha indicato con questi versi un modo per supportare le nostre intenzioni, quello di praticare insieme a dei buoni amici spirituali, i kalyanamitta, di cui il Buddha è il primo rappresentante. Kalyanamitta è un fattore così importante che lo abbiamo scelto come nome della nostra associazione.

Chi si associa con un amico saggio,

un compagno saggio che pratica il bene,

chi si associa con esso, dico,

supera tutti i pericoli, felice e consapevole.

Dhammapada, 329. Trad. di Francesco Sferra

E il Buddha ci indica un altro importante elemento dell’equanimità: la felicità!

Che tutti gli esseri possano essere illuminati e stabilmente felici!

Referenze

Praticare sulle intenzioni, meditazione guidata e riflessioni di Dharma di Sirimedho Stefano De Luca  registrate nel gruppo di meditazione dell’Associazione Kalyanamitta il giorno 16 dicembre 2022.

Foto di copertina: Eric Prouzet